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Storia di Malindi


Le varie dominazioni o "amministrazioni"...

Mappa di Malindi

Malindi, che si trova circa 120 km a nord est di Mombasa, è una delle grandi città turistiche lungo la costa. Malindi, una volta conosciuta come Melinde, è una città sorta sulla Malindi Bay alla foce del fiume Galana, che si trova sulla costa dell'Oceano Indiano del Kenya. La popolazione è di circa 120.000 abitanti. E' la capitale del distretto di Malindi. Gli Arabi fondarono Malindi agli inizi del XIII secolo. Nel 1414 il re di Malindi avviò relazioni diplomatiche con la Cina durante i viaggi dell'esploratore Zheng He. Nel 1498, le autorità di Malindi accolsero con favore il grande esploratore portoghese Vasco da Gama. L'anno seguente le porte dell'Africa orientale si aprirono ufficialmente verso l'Europa così i portoghesi vi istituirono un posto di scambio. In quel momento, la città era un regno ricco. Gli abitanti si mesolarono con gli arabi che erano la classe dirigente e la città fu cinta da mura. Gli arabi vivevano dentro le mura in case in pietra, mentre gli africani vivevano soprattutto in capanne di fango e graticcio di canne con tetti in paglia di palma. L'economia consisteva nell'agricoltura e nel commercio con i vari porti nell'Oceano Indiano. Vicino a Malindi c'erano grandi piantagioni di frutta (limoni, arance), palme da cocco, ortaggi e bestiame. Schiavi ed avorio venivano esportati. La città era un importante porto in Africa orientale. All'inizio del XVI secolo i portoghesi scelsero Malindi come stazione di rifornimento per le navi portoghesi, quindi, costruirono la propria amministrazione, stazioni di rifornimento e case per i loro funzionari. Nel 1518 il Mozambico ha assunto il ruolo di Malindi come stazione di rifornimento per le navi portoghesi perchè i portoghesi avevano problemi a difendere Malindi. Con la costruzione del portoghese Fort Jesus nella vicina città di Mombasa (1593 ) Malindi iniziò il suo declino. L'amministrazione portoghese e le dogane furono trasferite a Mombasa non lasciando amministrazioni a Malindi. Dopo il 1666 i portoghesi hanno perso il controllo completo della città. Il sultano di Zanzibar rifondò Malindi nel 1861 e la sua ricchezza è aumentata tra il 1861 e il 1890. Governatori arabi nominati dal sultano di Zanzibar e supportati da una guarnigione tra i trenta e i centocinquanta soldati Baluchi amministrarono la città. Dopo il 1873 il commercio degli schiavi, diventato illegale, portò ad un declino l'economia agricola, così gli arabi furono in parte disposti ad assumere gli africani locali su base salariale. Il sultano di Zanzibar successivamente affittò i suoi territori, che comprendevano la regione Malindi, al British East Africa Association. Nel 1906, il nuovo gruppo di europei cominciò a piantare ed esportare grandi quantità di gomma dalle loro piantagioni, ma questo finì nel 1917 quando i prezzi della gomma registrarono un netto calo a causa della sovrapproduzione in Malesia. Dal 1925 al 1938, ci fu la siccità seguita da inondazioni che portarono ad un calo della produzione agricola. Tuttavia, ci fu un grande aumento della produzione di cotone fino al 1935, quando il prezzo del cotone diminuì drasticamente. Durante la seconda guerra mondiale non vi fu molto lo sviluppo economico nella zona di Malindi. Alla fine del 1944 i turisti provenienti dall'entroterra stavano tornando, e l'esercito stava lentamente ritirandosi, in modo che Malindi, ancora una volta, è tornata alla normalità. Nel 1960 il turismo di massa con voli charter che atterravano a Mombasa, Malindi tornò sulla mappa del mondo. Oggi Malindi è nel bel mezzo di un boom turistico dovuto principalmente alle sue spiagge spettacolari. La città è servita da un aeroporto nazionale e da una strada tra Mombasa e Lamu. I resort di Watamu e Gedi Ruins ( i resti di una città Swahili situata a Gedi , un villaggio vicino a Malindi ) si trovano a sud di Malindi. Nel 1948, i resti di Gedi state dichiarati parco nazionale del Kenya. La foce del fiume Sabaki si trova nel nord di Malindi. I parchi marini nazionali di Watamu e Malindi formano una continua zona costiera protetta a sud di Malindi. L'area mostra classici esempi di architettura Swahili.

Il "villaggio dei pescatori"...

Vasco da Gama Pillar

Questa città apparentemente tranquilla non ha avuto per niente un passato monotono infatti con sconcertante alternanza e’ stata scenario di drammi e fortune degne delle più avvincenti saghe letterarie. Le sue origini sono abbastanza incerte anche se e’ probabile che risalgano al IX secolo. E’ comunque confermato da ritrovamenti di porcellana che fù abitata dagli arabi nel tredicesimo secolo. Più tardi nella prima metà del quindicesimo secolo vi approdarono i cinesi e nel 1492 fu la volta del navigatore portoghese Vasco De Gama al quale dopo l’ostile accoglienza ricevuta a Mombasa, Malindi parve un’oasi di pace e tranquillità. A quel tempo Malindi era una città cinta da mura di pietra corallina che vantava una popolazione di seimila abitanti e per quasi tutto il sedicesimo secolo i traffici mercantili con i portoghesi, gli arabi e gli indiani la resero una delle città più ricche e fiorenti della costa. Nel 1598 entra in scena la terribile figura del pirata turco Mirale Bey che assedia Malindi fino a quando le truppe Portoghesi riescono a ricacciarlo indietro. Il peggio sembra passato ma e’ solo un’illusione. Ben presto giungono da sud della costa gli echi delle imprese degli Zimba, una tribù di cannibali che era stata capace di mettere Mombasa a ferro e fuoco. In un battibaleno piombarono su Malindi e fu solo grazie alle forze unite di Portoghesi e tribù locali che i terribili Zimba vennero sconfitti e ricacciati indietro. Nel 1539 i Portoghesi spostarono le loro basi a Mombasa dando inizio alla costruzione di Fort Jesus: da allora incomincio’ il lento e inarrestabile declino di Malindi. La città andò sempre più a perdere consistenza, nel 1634 era già un terzo di come era stata in origine. Ventotto anni piu’ tardi fù invasa dagli arabi Omani allettati dalla sua posizione strategicamente perfetta per il controllo della costa. Circa duecento anni dopo, il missionario Ludwing Krapf diede uno scorgiante resoconto: Malindi era diventata una città semi abbandonata e inghiottita dalla vegetazione. Nonostante il suo declino commerciale Malindi era ancora molto ricca in prodotti agricoli tanto che nel 1861 il Sultano di Zanzibar diede ordine di ricostruirla e vi mandò un rappresentante dell’ Imperial British East Africa Company a controllare le sue proprietà. Verso l’inizio del secolo si tento’ nell’area intorno a Malindi la coltivazione estensiva dell’albero della gomma ma a causa del crollo dei prezzi di mercato dovuto alla crescente concorrenza di altri paesi produttori, questo progetto venne ben presto abbandonato. Solo negli anni 30 arrivarono i primi residenti Europei, tra questi Mr. Brady che costruì il Palm Beach Hotel l’odierno Blu Marlin, e il comandante Lawford che costruì l’omonimo albergo. Durante la guerra, nel 1940, Malindi venne bombardata da due biplani Italiani e anche se fortunatamente solo una minima parte di bombe esplose. Terminata la seconda guerra mondiale, Malindi comincio’ a diventare un luogo di villeggiatura per i country farmers del nord e più tardi nel 1960 esplose definitivamente come località balneare. Oggi Malindi vive un momento di espansione economica e turistica. Pur mantenendo immutato il suo fascino di “villaggio dei pescatori”offre innumerevoli scelte alberghiere ad alto livello ristoranti internazionali e tutti i servizi di una meta turistica famosa. La bellezza naturale della costa, le molte spiagge e baie bordate di palme, l’ideale clima tropicale e la magia dell’ Oceano Indiano ne fanno il luogo ideale per una vacanza da sogno.
LUOGHI DI INTERESSE STORICO
Le Pillar Tombs: tra citta’ e pontile. Il monumento si trova in prossimità della moschea di Juma ed e’ di discreto interesse architettonico. La più alta delle due tombe risale al principio del xv secolo. Pare che in quei tempi gli schiavi venissero venduti di fronte alla moschea.
La Cappella Portoghese: estremità sud del porto Costruita dai Portoghesi per seppellire due marinai. Originalmente le pareti interne erano decorate con dipinti che purtroppo recentemente sono stati coperti con una mano di vernice bianca. E’ stata visitata da San Francesco Xavier nel 1542.
Vasco De Gama Cross: accesso da Mnarani Road. Situato nel punto più a Sud della baia di Malindi e’ uno dei più vecchi monumenti europei rimasti in Africa. Originariamente costruito da Vasco de Gama fuori dal palazzo dello sceicco venne in seguito rimosso e spostato nella presente posizione dai monaci nel corso del XVI secolo.
Gedi: situata a 19 km a sud di Malindi le rovine di Gedi sono quanto rimane di una citta’ araba costruita nel tardo tredicesimo secolo e abbandonata in seguito ad un attacco dei Galla o per carenza d’acqua. La parte visibile della citta’ risale quasi tutta al xv secolo e a quel tempo la sua popolazione doveva aggirarsi sulle 2500 unità. La leggenda dice che la citta’ sia abitata da fantasmi tanto che il comandante Lawford usava offrire un week-end per due nel suo albergo a chi avesse osato passare una notte da solo a Gedi.

Chi sono gli Zimba...

Guerriero Masai

Gli Zimba, I devastatori d'Africa !!
Un popolo nomade e guerriero per ben due secoli (XVI e XVII) devastò l'Africa. Erano i feroci Zimba (o Jagga per i portoghesi) che pensavano di essere invincibili grazie a un unguento preparato dagli stregoni dopo aver messo in un mortaio neonati vivi e altri ingredienti segreti. (Nella foto un Guerriero Masai. Sarebbero loro tra i discendenti, insieme agli Zulu, degli Zimba).
Ma chi sono questi Zimba? Originari dell'area dei grandi laghi e del Kilimangiaro tra Kenia, Uganda e Tanzania si mossero in lungo ed in largo per tutta l'Africa distruggendo, massacrando e saccheggiando tutti i popoli che incontrarono sul loro cammino dalla Sierra Leone allo Zambesi, dall'Etiopia al deserto del Kalahari. Assalirono anche gli europei in Congo costringendoli ad abbandonare la città di São Salvador e memorabile fu il massacro di 3.000 musulmani nella presa dell'avamposto commerciale di Kilwa, in Abissinia. Erano preceduti da una fama che incuteva ancor più terrore nelle popolazioni: si diceva fossero cannibali. In battaglia si presentavano oltre agli uomini ed alle stesse donne Zimba anche gli stregoni che vestiti di pelle di coccodrillo lanciavano incantesimi. I guerrieri erano decorati con copricapi piumati, corna, ossi, teschi umani, becchi o zampe d'animali mentre le piume rosse, il cui numero corrispondeva a quello dei nemici uccisi, erano un privilegio esclusivo del re. Infine la loro violenta spinta devastatrice si esaurì e conobbero la loro fine sul campo di battaglia per mano dell'esercito guidato dalla regina di Ndongo (Angola), Zingha Mbandi Ngola, che con gli Zimba superstiti e asserviti tolse ai portoghesi Matamba, fondando uno stato libero.

Mostri assetati di sangue...

Zimba

L'EPOPEA DEGLI ZIMBA (JAGA)
Molte leggende e tradizioni parlano di successive ondate di migrazione di popoli pastori. Gli Hima, ad esempio, invasero verso il nostro 1300 l'attuale Uganda e sembra che siano stati i fondatori di grandi città fortificate, come Bigo e Kabengo. Queste città erano circondate da fossati difensivi, scavati a volte nella roccia viva. Al loro interno, l'abitazione del capo e il recinto del bestiame erano a loro volta protetti da fossati. Le città erano spesso estese più d'un chilometro e racchiudevano una collina centrale, come in un'altra parte del continente le cittadelle haussa e yoruba. Come quelle, ripetono le strutture di centri fortificati d'occupazione, costruiti da un popolo invasore. Secondo i luoghi e i momenti, le invasioni di popoli pastori fondavano o distruggevano città. Sembra infatti che Engaruka sia stata distrutta dall'arrivo di nomadi pastori. I Jaga (la J si pronuncia quasi come "Giaga") furono un popolo che tra il sec. XVI e il XVII mise a ferro e fuoco gran parte del continente africano, dalla Sierra Leone allo Zambesi, dall'Etiopia al deserto del Kalahari. Si ritiene che provenissero dal nord dell'attuale Congo-Zaire. Il loro ricordo si tramanda nelle varie regioni ed essi sono considerati come gli antenati dei Ba-Yaka del Congo, dei Jinga d'Angola, degli Azimba dello Zambesi, dei Vazimba del Madagascar, dei Galla-Oromo dell'Etiopia, dei Fundhi del Sennar, dei Timene della Sierra Leone, dei Makalaka dello Zimbabwe, degli Zulu, ecc. Ibrahima Baba Kané li identifica come parenti prossimi degli attuali Masai. Sembra probabile che in origine essi provenissero dalla regione dei grandi laghi e del Kilimanjaro. Le loro invasioni sconvolsero i gruppi etnici esistenti e provocarono la formazione di nuovi stati. Secondo Bastian, la prima menzione della loro apparizione nel Congo fu nel 1491. I primi autori riferiscono che essi chiamavano sé stessi Agag o Gaga, nome mutato dagli abitanti del Congo in Giaka (Ba-giaka) e poi in Jagga dai Portoghesi. Secondo padre Cavazzi, essi portavano già tale nome nelle terre d'origine, dove era pronunciato "Engangiaghi". I Wachanga, presso il Kilimanjaro, sarebbero i loro ultimi discendenti rimasti nelle terre d'origine. Durante le loro invasioni furono conosciuti in molti Paesi anche col nome di Zimba o Ma-Zimba, dal nome del loro capo Zimbo. Nel Congo essi sconfissero tutte le truppe che cercavano di fermarli, e infine lo stesso re Alvaro, che fu costretto ad abbandonare la sua capitale di São Salvador per rifugiarsi su un'isola in mezzo al fiume Congo, detta "Isola dei Cavalli" per il gran numero d'ippopotami che vi si trovavano. Molti abitanti fuggirono verso le montagne. Verso il 1570, i Jaga-Zimba evacuarono il regno del Congo e si divisero in diversi gruppi, alcuni dei quali giunsero sino in Abissinia e sulla costa degli Zengi, a Kilwa, dove passarono a fil di lancia tremila mussulmani. Poi presero Mombasa e attaccarono Malindi, ma il re di quella città si difese e riuscì a fare di loro una carneficina. Gli Zimba sopravvissuti ripartirono verso ovest. Zimbo in persona raggiunse il Capo di Buona Speranza e poi risalì la sponda atlantica, sino al Kunene, dove fondò un nuovo kilombo. Zimbo morì, insieme alla moglie Temba N'dumba, mentre preparava una nuova campagna militare. Anche i loro successori, Kulembe e la moglie Bombaikase-Kizura, lasciarono dietro di sé un alone di ferocia, tanto che Cavazzi ne parla come di "mostri assetati di sangue". La fama di crudeltà ereditata dagli Zimba li fece accreditare di cannibalismo, infanticidio, comportamento disumano in battaglia, e fu in gran parte alla base del terrore che le loro truppe ispiravano. Cavazzi descrive un "orribile unguento", maji-a-samba, che si confezionava pestando dei neonati in un mortaio. Esso era usato da Temba-Ndumba per rendersi "immortale e invincibile". A metà del sec. XIX, Bastian sentì riferire che uno stagno presso l'antica capitale del Congo, São Salvador, era stato creato dalle lacrime che l'invasione jaga aveva strappato al dio Unga, mentre il pianto degli dei Kasuto e Inkisi aveva formato i fiumi che portano ancora i loro nomi. Gli fu mostrato al mercato il posto in cui i Jaga banchettavano con carne umana. Come fecero gli Zulu alcuni secoli dopo, i guerrieri Zimba percorsero e razziarono in lungo e in largo la parte centro-meridionale del continente africano. Sottomisero molti popoli, ai quali lasciarono in eredità alcuni prestiti linguistici, simili alle radici dell'odierna lingua dei Masai, ed almeno parzialmente la loro organizzazione militare e la loro forma di Stato. La religione, col culto dei morti, era molto importante nella società jaga. Il loro prete, nganga-ia-ita, fabbricava cinture di pelle di coccodrillo che dovevano proteggere dai malefici. In onore ai re ed ai principi, il gran sacerdote (nganga-ia-kimbanda) praticava il sacrificio kiluvia. Sul piano militare, la strategia jaga si basava su due punti: - attacchi a sorpresa, accompagnati da una serie d'astuzie, manovre offensive alternate a ripieghi. Una stretta disciplina permetteva loro di raggrupparsi o disperdersi rapidamente in manovre ordinate. -accampamenti fortificati, dai quali provocavano l'avversario, per attaccare la battaglia da posizioni di forza. I Jaga combattevano a piedi, e non avevano cavalli. Usavano archi e frecce avvelenate. Facevano pochi prigionieri, ma catturavano tutti quelli che potessero diventare buoni guerrieri o schiavi. Ogni guerriero aveva un proprio segno distintivo: un copricapo piumato, corna, ossi, becchi o zampe d'animali, ornamenti dipinti. Le piume rosse - il cui numero corrispondeva a quello dei nemici uccisi - erano un privilegio esclusivo del re. Anche le donne jaga andavano al combattimento, insieme agli uomini. Gli accampamenti (kilombo) sostituivano i villaggi, come vedremo per i kraal degli Zulu.
Il kilombo tipo, descritto da Cavazzi, comprendeva sette quartieri:
1 - Al centro dell'accampamento si trovavano le dimore del re e dei suoi consiglieri, circondate da palizzate.
2 - Il quartiere dello ngolambole, generale delle guardie, detto anche mutue-a-ubumgo (capitano). Era il primo ufficiale del re, colui che attaccava per primo e che dirigeva la marcia. Accompagnato da uno Shinghila (indovino), sceglieva il sito ove fondare il kilombo, tracciava le sue vie e definiva tutti i particolari per la costruzione.>BR> 3 - Il quartiere del tandala, comandante della retroguardia, venerato come un principe, perché era anche il primo elettore del re e dirigeva il kilombo durante i periodi d'interregno.
4 - Verso est, il mutunda, ove si trovava il ma-niluniu, specialista della costruzione di cinte di fortificazione e di trincee. Era il solo alto personaggio autorizzato ad entrare dal re per parlargli, senza dover attendere.
5 - Dall'altro lato, ad ovest, il quartiere del ministro degli affari segreti, discreto e fedele.
6 - Il quartiere del kicumba o ilunda dipendeva dallo ngolambole. Egli si occupava delle armi, degli schiavi, e doveva essere particolarmente coraggioso e feroce in combattimento.
7 - Il quartiere d'un altro ilunda doveva proteggere la casa del re e le sue ricchezze. Solo personaggi di fiducia potevano ricoprire tale carica.
I Jaga si stabilirono e continuarono ad esercitare pressioni sui confini orientali del Congo.
Sotto il regno di Alvaro II (1587-1614), essi tentarono una nuova invasione, e il regno del Congo si salvò solo grazie alle fortezze costruite dai Portoghesi. Verso il 1660, i Jaga (Ba-Yaka) furono duramente sconfitti da Anna Zingha, regina del Matamba, che confinava con loro a sud-est. Dal principio del sec. XVIII sino alla fine del XIX, essi continuarono ad occupare la riva destra del fiume Kwango e una zona estesa sino al Kwilu-Djuma.

La sanguinaria tribù dei Matamba...

Istorica Descrizione de' Tre Regni Congo, Matamba et Angola

Padre Giovanni Antonio Cavazzi da Montecuccolo.
Nacque, il 13 ottobre 1621, da umili origini nel borgo del Castello di Montecuccolo (oggi frazione di Pavullo nel Frignano), figlio di Cesare e Guglielmina, mezzadri del conte Massimiliano Montecuccoli, che gli diedero il nome di Galeotto. Nel 1640 prese i voti al termine del noviziato svolto presso il convento dei cappuccini di Cesena, con l'intenzione di avviarsi alla vita da missionario. Però, diventato sacerdote, i suoi superiori lo giudicarono di "buona volontà" ma di "pochissima intelligenza", ed i suoi studi non sufficienti alla qualifica di predicatore. Nel 1649 presentò domanda alla congregazione di Propaganda Fide di essere inviato in Congo come missionario, ma ancora una volta tale possibilità gli venne respinta. Tuttavia le missioni cappuccine in Africa richiedevano un numero crescente di religiosi, e finalmente nel 1653 il Padre provinciale di Bologna lo ritenne idoneo. L'11 novembre 1654 arrivò, a bordo di una nave genovese, a Luanda, capitale amministrativa dell'Angola portoghese, per recarsi poi alla missione cappuccina di Matamba. Nei primi anni viaggiò al seguito dei soldati portoghesi attraverso varie località nord-angolane (Massangano, Cambambe, Maupungu, Ambaca...). Qui iniziò la sua predicazione tra tribolazioni di ogni genere, dalle febbri malariche al cannibalismo, scrivendo numerosi appunti e cronache di tali esplorazioni. Ammalato, si imbarcò su una nave diretta in Brasile, dove attese un anno una nave per l'Europa, arrivando infine nel 1668 a Lisbona. Recatosi a Roma, mostrò ai superiori di Propaganda Fide gli scritti che aveva iniziati nel 1655: tali appunti furono giudicati interessanti, e Cavazzi venne invitato a stendere un'opera organica e completa sulla storia della missione cappuccina in quella parte del continente nero, lavoro cui vennero dedicati circa tre anni ed un lungo confronto con la biblioteca e i documenti dei cappuccini. Pur apprezzandone il lavoro, la Congregazione non ritenne però di assumersi l'onere della stampa, e pertanto Cavazzi venne nominato il 30 maggio 1672 prefetto della missione e nuovamente inviato in Africa. Partì da Lisbona il 16 luglio 1673, ed arrivò a Luanda solo il 10 dicembre seguente: la nave fece infatti naufragio sulle coste di Benguela e Cavazzi fu tra i pochi superstiti. Già debole di salute, subì un ulteriore decadimento fisico che ne inficiò la capacità di governo della missione, facendolo ritenere da molti inadatto al ruolo di prefetto. Soprattutto la mancanza del titolo di studio di predicatore spinse alcuni missionari - probabilmente desiderosi di essere promossi - a richiedere alla Congregazione di propaganda Fide la sua rimozione, cosa che avvenne infine nel maggio 1676. Ritornò in Italia nel 1677, dove scrisse un secondo resoconto biografico sui cappuccini morti in Congo. Morì a Genova nel luglio 1678, all'età di 56 anni. La prima e più importante opera di Cavazzi, Istorica Descrizione de' tre regni Congo, Matamba ed Angola venne pubblicata solamente otto anni dopo la sua morte. Si tratta di una storia descrittiva di considerevole rilevanza all'epoca, tanto che già nel 1694 venne pubblicata l'edizione tedesca e nel 1732 quella in francese. Bisognò attendere il XX secolo per vedere un'edizione in portoghese. Nel 1969 un sacerdote modenese, Giuseppe Pistoni, scoprì fra le carte Araldi, una famiglia cittadina, i tre poderosi manoscritti originali di Cavazzi, quindi il testo non rivisto stilisticamente da Alamandini. Tale rimaneggiamento fu voluto da Propaganda Fide per depurare il testo da alcuni accenni miracolistici o ritenuti fantasiosi, un lavoro lungo e certosino che probabilmente determinò la pubblicazione postuma. Ad oggi resta una delle documentazioni storiche più interessanti non solo sulla presenza cappuccina nell'Africa centro-occidentale, ma anche un'importante testimonianza circa le tradizioni orali e gli usi delle popolazioni congolesi ed angolane. Tali manoscritti erano inoltre illustrati con vivide rappresentazioni ad acquarello della vita in Africa centrale, e soprattutto della corte della regina Nzinga, che governava l’indomita o, se si vuole, sanguinaria tribù dei Matamba, allora dominante in Angola. “Mai satolla di suggere il sangue facendo strozzare pargoletti e uomini per empirne i nappi, il gozzo e le viscere”, scrive padre Cavazzi, la feroce regina dei cannibali possedeva un harem maschile in cui gli uomini, a volte, potevano finire mangiati. Organizzava festini in cui agli amanti in abiti femminili venivano serviti “topi arrostiti con tutto il pelo”, come nota schifato il frate cappuccino. Tuttavia, Cavazzi, mandato dai superiori bolognesi a evangelizzare il Matamba, non si sottrae al compito più difficile, che è quello di convertire l’esuberante regina. Zingha, nel merito, appare confusa, o ama confondere. Quando sembra aver abbracciato la fede cristiana, ecco che ricade nell’animismo e nel tribalismo. Poi torna a convertirsi, quindi sfugge di nuovo. Alla fine capitola e muore cristiana, a 81 anni, assistita dallo stesso Cavazzi che da lei era stato chiamato a sostituire Padre Antonio da Gaeta rimasto a reggere la prefettura di Angola. Oltre a tale storia, Cavazzi riscrisse anche le biografie di alcuni dei suoi missionari "Vite dei Frati Minori Cappuccini del Ordine del Serafico Padre San Francesco, morti nelle Missioni d'Etiopia dall'anno 1645 sino all'anno 1677" (manoscritto conservato oggi presso la biblioteca di Évora), lavoro che però non venne pubblicato prima del XX secolo. Esse non hanno l'accuratezza della prima opera, poiché Cavazzi non ebbe il tempo di integrarle con la ricerca d'archivio, ma contengono notizie preziose sulla presenza cappuccina in Congo nel '600.

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